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giovedì 7 gennaio 2010
La controversia nasce da un ricorso (n. 58858/00) presentato da tre cittadini contro lo Stato Italiano. I ricorrenti hanno investito la Corte Europea il 7 aprile 2000 ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione di Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali. Con una sentenza dell'8 dicembre 2005 la Corte aveva giudicato che l'ingerenza nel diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti non era compatibile con il principio di legalità e che, perciò, vi era stata violazione dell'articolo 1 del protocollo n. 1 (Guiso-Gallisay c. Italia, n. 58858/00, §§ 96-97, e punto 2 del dispositivo, 8 dicembre 2005). In applicazione dell'articolo 41 della Convenzione, i ricorrenti avevano insistito per ottenere una somma corrispondente al valore dei terreni controversi, dedotta l'indennità ottenuta sul piano nazionale, ed aumentata del valore delle costruzioni realizzate sui loro terreni. Chiedevano anche una somma a titolo di rimborso dell'imposta alla fonte, imposta alla quale erano state sottoposte le somme riconosciute dal Tribunale di Nuoro il 14 luglio 1997. Sollecitavano inoltre un'indennità per danno morale e chiedevano il rimborso delle spese di giustizia impegnate dinanzi alle giurisdizioni nazionali e delle spese esposte dinanzi alla Corte europea.
Il termine fissato dalla Corte per permettere alle parti di raggiungere un accordo amichevole era scaduto però senza che le parti trovassero un accordo.
Nella sua sentenza del 21 ottobre 2008, la Camera ha proceduto ad un'inversione di giurisprudenza con riguardo all'applicazione dell'articolo 41 nei casi di espropriazione indiretta. Ricordiamo che l'art. 41 statuisce: “Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa”.
Nell'ambito della pronuncia del 2008, la Camera, con sei voti contro uno, ha:
- abbandonato il metodo abituale di calcolo del risarcimento danni, fino ad allora basato sul valore di mercato attualizzato del terreno, aumentato della plusvalenza portata dagli edifici costruiti dall'espropriante;
- adottato un metodo nuovo, fondato sul valore di mercato del bene alla data in cui gli interessati hanno la certezza giuridica di avere perso il loro diritto di proprietà. Su detta somma decorrono gli interessi legali dal giorno della pronuncia della sentenza della Corte, decurtando l'indennità eventualmente già ricevuta.
La Camera ha giustificato la citata inversione con:
- il timore di introdurre disparità di trattamento tra i ricorrenti in funzione della natura dell'opera pubblica realizzata dall'amministrazione, che non ha necessariamente un legame con il potenziale del terreno nella sua qualità originaria;
- la preoccupazione non di lasciare posto all'arbitrio;
- il rifiuto di attribuire alla compensazione uno scopo punitivo o dissuasivo per lo Stato, in luogo di una funzione compensativa per il ricorrente;
- il cambiamento della legislazione italiana (legge finanziaria 2007) intervenuto in seguito alle sentenze della Corte costituzionale n. 348 e 349 del 22 ottobre 2007, legislazione che prevede che, in caso di espropriazione indiretta, la compensazione deve corrispondere al valore venale dei beni, nessuna riduzione essendo ammessa.
La Corte ha assegnato ai ricorrenti 1.803.374 euro per danno materiale, 45.000 euro per danno morale e 30.000 euro per spese e costi.
Il 30 ottobre 2008 i ricorrenti hanno chiesto il rinvio della causa alla Grande Camera ai sensi degli articoli 43 Conv. e 73 Reg. Uno dei Collegi della Grande Camera ha accolto la domanda il 26 gennaio 2009. Riferendosi alla giurisprudenza fino ad allora consolidata della Corte, in particolare alla sentenza Scordino c. Italia (n. 3), i ricorrenti hanno chiesto alla Grande Camera di condannare lo Stato Italiano alla restituzione dei loro i terreni e, in mancanza di restituzione, che lo Stato Italiano versasse una somma equivalente al valore dei terreni nel 2009, più il costo di costruzione degli immobili realizzati dallo Stato. In sede di commento è opportuno soffermarsi sulle varie pronunce della Corte i cui principi sono stati richiamati dai ricorrenti.
In materia di privazione arbitraria di beni, la Corte aveva iniziato il suo filone giurisprudenziale con la sentenza Papamichalopoulos ed altri c. Grecia. In tale sede era stato deciso che lo Stato resistente dovesse versare agli interessati, per l'usurpazione da parte delle autorità dei loro terreni, una somma equivalente al valore attuale di questi, aumentato della plusvalenza portata dagli edifici costruiti. Questa linea interpretativa era stata seguita nelle sentenze Belvedere Alberghiera S.r.l c. Italia ((soddisfazione equa), n. 31524/96, 30 ottobre 2003) e Carbonara e Ventura c. Italia (soddisfazione equa), n. 24638/94, 11 dicembre 2003), riguardanti sempre casi di espropriazione illegittima. In mancanza di restituzione dei terreni, la Corte aveva assegnato a titolo di danno materiale somme che prendevano in considerazione il valore attuale dei beni sul mercato immobiliare al momento dalla pronuncia della sentenza. Inoltre, aveva cercato di compensare ulteriormente le perdite subite considerando il potenziale del terreno in causa, calcolato a partire dal costo di costruzione degli immobili realizzati dallo Stato. Questa giurisprudenza era stata ratificata dalla Grande Camera nella sentenza Scordino c. Italia (n. 1) ((GC), n. 36813/97, §§ 250-254, CEDU 2006 – V). Le sentenze Scordino c. Italia (n. 3) e Pasculli c. Italia ((soddisfazione equa), n. 36818/97, 4 dicembre 2007) avevano infine seguito ed applicato questa giurisprudenza.
La Grande Camera, con sentenza del 22 dicembre 2009, ha stabilito la necessità di applicare nuovi principi alle controversie relative alle espropriazioni illegittime. Pur riconoscendo che i ricorrenti hanno diritto al valore pieno ed intero dei beni, la Grande Camera ha ritenuto che la data da prendere in considerazione per quantificare il danno materiale non deve essere quella della pronunzia della sentenza della Corte, ma quella della perdita di proprietà dei terreni. Infatti, il precedente orientamento giurisprudenziale potrebbe lasciare posto ad un margine d' incertezza, o di arbitrio. D'altra parte, secondo la Grande Camera, il criterio adottato in precedenza -ossia quantificare il risarcimento del danno per la perdita della proprietà ed il mancato godimento del bene automaticamente corrispondente al valore delle opere costruite dallo Stato aggiunto al valore di mercato attualizzato dei terreni alla data della sentenza della Corte di Strasburgo- non trova concreta giustificazione. Questo metodo può infatti introdurre disparità di trattamento tra i ricorrenti in funzione della natura dell'opera pubblica realizzata dall'amministrazione, che non ha necessariamente un legame con il potenziale del terreno nella sua qualità originaria. Inoltre, questo metodo attribuisce alla compensazione per danno materiale uno scopo punitivo o dissuasivo nei confronti dello Stato resistente, in luogo di una funzione compensativa per i ricorrenti (come peraltro già affermato dalla Camera nella sentenza del 2008).
La Grande Camera ha ritenuto che il nuovo orientamento potrà essere applicato dalle giurisdizioni italiane alle controversie che dovranno decidere.
La Grande Camera ha dunque stabilito di non tenere più conto, per valutare il danno materiale, del costo di costruzione degli immobili realizzati dallo Stato sui terreni ablati, riconoscendo ragionevole accordare ai ricorrenti la somma di 2.100.000 euro più ogni importo eventualmente dovuto a titolo d' imposta su questa somma.
La Corte ha ritenuto inoltre di dover prendere in considerazione il pregiudizio derivato dall'indisponibilità dei terreni per il periodo che va dall'inizio dell'occupazione (1977) al momento della perdita della proprietà (1983), assegnando ai tre ricorrenti congiuntamente 45.000 euro, importo dal quale deve essere dedotta la somma già ottenuta dai ricorrenti a livello interno a titolo di indennità d'occupazione.
Anche la sensazione d'impotenza e di frustrazione di fronte all'espropriazione illegale dei beni, avendo causato ai ricorrenti un pregiudizio morale importante, secondo la decisione in commento deve essere riparata in modo adeguato, con il riconoscimento per ogni ricorrente di 15.000 euro (45.000 euro in totale).
La Corte ha confermato che le indennità assegnate devono essere aumentate in funzione delle spese e costi supplementari causati dalla procedura dinanzi alla Grande Camera e per tale motivo ha liquidato ai ricorrenti congiuntamente 35.000 euro oltre IVA.
La Corte, infine, ha riconosciuto il tasso degli interessi moratori pari al tasso d'interesse della Banca Centrale Europea aumentato di tre punti percentuali.
Avv. Giuseppe Spanò
Retelegale Parma